Merum.

 

Intendo quello fatto di succo d’uva, semplice fermentato di polpa zuccherina, frutto ultimo delle viti che maturano da terre scarse di piogge, alla luce cocente del sole.
Mio padre fa un vino così —non un vino da taglio, grossolano e ottuso muscolo di vite, ma un succo dal gusto gentile e moderato, armoniosa miscela di uve diverse in eguali proporzioni. Il vino di mio padre non dà alla testa, rinfresca dall’arsura con una punta di selvatico, si unisce in morbidezza ai pasti quotidiani.

E’ ancora conviviale, il vino puro. Ma non è fatto per noi, che non abbiamo capacità di moderare i nostri sogni, di comprenderci in essi, di governare questa ebbrezza come una specie di destino che si divincola di notte, nel buio della stanza e ci colpisce fino all’alba, fino al punto in cui rischiamo di perdere la vita nella follia misteriosa del cuore del dio.
Al mattino, tutto quello che resta è un vago fondo di malinconia.