Cantar senza struttura

 

 

 

                                  “Sono un seme caduto sulla roccia.
Sono una pianta germinata negli anfratti inospitali
—là dove nessuno si aspettava che …”

 

   Una lunga permanenza in casa per curarmi da uno stupido virus infettivo mi ha gettata in uno stato d’isolamento che non avevo patito mai nella mia vita adulta. Quando dico isolamento intendo una condizione radicale di distacco non soltanto dall’ambiente esterno, ma anche da parti più familiari di me.
    L’isolamento mi ha cagionato uno sguardo diverso e un giudizio. Forse, anche una voce nuova.

   Rimane questa intrinseca difficoltà      Questa inattitudine agli arrivi pur senza perdere la rotta senza smettere di disgregare l’unità delle parti, aprendomi in quelle un varco. Questa voglia confusa di vivere che sa compensare        Uguagliare una mancanza con un’altra supplendone il difetto

         

                              “Bologna mi piace perché c’è la neve con il sole perché l’azzurro del cielo è barbarico sopra i rossi del cotto nei muri”
   

   All’ingresso del mercatino agricolo settimanale, sta scritto in stampatello sulla panchina dove siedono quelli che ti chiedono una moneta. Doveva essere in una giornata come questa con una bava di neve che ti soffia nell’aria e il più barbarico degli azzurri nel cielo. Che vuol dire inattesa una rotta di bellezza nella piena dei giorni, incontenibile estraneità di pesi di misure di vie di fuga. E in così libera armonia ancora domandi —Che fare?

bologna. 25 gennaio 2014.