L’encre et la nuit.

 

Mi trovo con una storia fra le mani. Forse con i buchi di quella che avrebbe potuto essere una storia. L’ho letta fra le pagine di un vecchio quaderno, ho riconosciuto fra le righe scritte con un tratto leggero di matita una voce, qualcuno: una donna, un uomo, quell’atmosfera che toglie il respiro che hanno gli incontri furtivi, i crepuscoli, la notte. I due parlano, rifanno il racconto delle loro vite. Oppure qualcos’altro è in gioco in quelle conversazioni, forse la possibilità stessa di avere ancora una storia, la propria storia in cui poter continuare a esistere.

Sono confusa. Di giorno nella mia stanza non so quello che sto aspettando; di sera, esco a comprare qualcosa per cena, a volte incontro qualcuno che conosco, ci fermiamo sui bordi del traffico a conversare. Poi ritornando a casa nell’imbrunire sotto le prime foglie ingiallite degli alberi, tra i fanali delle auto alle mie spalle mi muovo piano, faccio alcune fotografie. Penso alla stagione in cui potevano avvenire quegli incontri, immagino dove poteva trovarsi quel loro caffè. A casa, ci penso ancora mentre preparo da mangiare, ci penso prima di andare a letto. Ci dormo sù.

Ci penso. Ma poi mi dico che non è un vero e proprio pensare, piuttosto una deriva inquieta in cui “tutto si mescola” ed io faccio fatica a tenere il conto delle ore che passano, dei giorni. Nel mio vecchio quaderno sono scritte soltanto poche righe, ragguppate fra numerosi spazi bianchi. Sono poche righe, ma colme già di un sapere lampante —allora, come levare alla luce quello che ancora rimane sepolto, senza riempire quei vuoti di niente?

Fuori. Si è fatto grigio il colore del cielo da bianco latteo che era nel mattino. E’ fredda l’aria, è verde la luce che riverbera dai muri del cortile. L’ora degli orologi è già molto avanti rispetto al tempo naturale della stagione. Forse anche questo è un motivo d’inquietudine.

bologna. 19 settembre 2012.