Giri di boa

 

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GIRI DI BOA : come un’autobiografia

 

 

 

Gli aggiornamenti di questa pagina si fermano qui. Non perché sia cessato il battito delle maree o perché non vi siano più da aggirare confini di boe che sorvegliano le distanze.

E’ tempo di guadagnare il mare aperto. Magari con l’ausilio della grazia che i pescatori devoti chiedono quando sono lontani a una Madonna dell’alto mare.

Non ho paura. Non so mai prima quello che faccio. Questa insapienza mi salva le mani e mi incanta.

bologna. Ottobre 2014

 

 

 

 

 

torre dell'Orso (LE). Maggio 2013.In certi giorni un profumo di mare, anche molto lontana dalla costa
torre dell’Orso (LE). Maggio 2013

 

 

 

 

 

Dal libro di vertigini

   “In una notte oscura
fra mille ansie, d’amor tutta infiammata,
uscii né fui notata
o felice ventura!
essendo la mia casa addormentata.
…”
Giovanni della Croce, La notte oscura

 

Sulla curva del tempo la luce
mi sopravanza       e mutazioni di nuvole,
i lignaggi delle ombre      le piogge e poi
come momenti di follie
ogni schiarita

Ancora là quello che resta da fare.

Brillante di stelle schierate come un esercito al campo
l’orizzonte del cielo. Fra tutte nel mezzo solo una
manda bagliori di luce di oro      (e sento ancora addosso l’umido tremore che impaccia il levarsi, l’andare)

Presto nel mattino la figura del sapiente ha parlato con voce di versi, sul cuore ha soffiato l’uscita.

bologna. 4 luglio 2014

 

 

 

 

 

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Mai visto prima
Alla mia finestra. bologna, giugno 2014

 

 

 

 

 

Ci sono giorni

Le sei di sera secondo l’ora legale. Non finisce di confondermi questo cambiamento d’orario. Così come in certe giornate le strade di sempre si confondono, e allora non so più dove mi trovo io. Come stasera, in cui domandavo con smarrimento…

Non è ancora il morire, ma è quando i confini diventano così accessibili che si può solamente tentare – in questa inedita densità – soltanto l’ampiezza delle zone, come in un processo pittorico d’imprimitura.

bologna. 10 aprile 2014

 

 

 

 

 

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“Come in certe giornate le strade di sempre si confondono, e allora …”
limite della ferrovia. bologna, primavera 2014

 

 

 

 

 

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Ai salici del canale ho letto i miei ultimi versi
cimitero della Certosa. bologna, primavera 2014

 

 

 

 

 

L’ancoraggio della voce

Sono al principio di un nuovo corso della mia vita, diverso da quello che è stato fin qui il mio cammino di sempre. Tracciare un punto, fare il segno su un giorno non significa che il cambiamento si è compiuto per discontinuità, improvviso e radicale. Agiva piuttosto dentro di me come un graduale disorientamento, remoto e in profondità. Si protrae nel tempo fino allo spasmo della carne, quando la mente è perduta.

Paziente, mi ero creduta in attesa di parole. Ho ascoltato il susseguirsi dei giorni, in quelli il succedersi drammatico degli eventi. E il mio silenzio, in segreto, come un’implorazione muta.

Attraverso l’oscura lotta, con le mani ho assiepato la mia forza. Là ho ancorato la mia voce.

bologna. 19 giugno 2013

 

 

 

 

 

Maggio 2013.
Sto scrivendo una poesia
costa adriatica salentina. Maggio 2013

 

 

 

 

 

Naufragi

E’ passata da poco mezzanotte. E’ già da qualche ora che il sonno mi tormenta nello sforzo inutile di rimanere sveglia. In quello sforzo, la mente intorpidisce.

Mi domando se non è la volontà ad abusare di questo essere di me dormiente già, che sogna —allora, chi è? Questa specie di obbligo a vigilare perché qualcosa sullo sfondo accade. Tendersi nello sforzo di esserci quando si manca per metà e più. Si potrebbe dire anche in un modo diverso: un momento di crisi.

Quasi superstite di un naufragio, quello del mio equilibrio, dell’idea stessa che avevo di perfezione. Mentre qualcos’altro di nuovo passa di qua e lacera e segna proprio in quella tensione che promanava dal silenzio in ascolto. Forse, una parola nuova. Forse la voce che ha abbandonato il mondo per ricostituirsi altrove. Ancora non so.

L’entusiasmo di risollevarmi, di balzare via, di correre fra le risa. Congiungersi a questo tocco nel mio cuore l’istante e la meraviglia.

bologna. 2 giugno 2013

 

 

 

 

 

torre dell'Orso (LE). Maggio 2013.
Il mare scritto dalle correnti della sera
torre dell’Orso (LE). Maggio 2013

 

 

 

 

 

La parola assorta

Non potevo immaginare quanto sarebbe durata questa mancanza di voce. Ancora non potevo sapere la perdita nella distanza che separava il cielo dal mare, e in quella l’estensione uniforme di una costante immensità.

bologna. Maggio 2013

 

 

 

 

 

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Solitudine della pienezza
Madonna del Carmelo, bologna. Settembre 2014

 

 

 

 

 

Un altro dimorare

Non scrivo più a partire dal tempo della mia vita, dal ritmo delle mie attese. Non posso più. Quel modo di scrivere mi ha abbandonata —finito.
Gradualmente, le notti sono venute a sovrapporsi ai giorni e il calmo ardore del buio ha preso il posto della fiamma viva del tempo meridiano. Posso ancora uscire nel giorno e camminare per gli spazi della città, ma non vedo più le vie, le attività commerciali, le vetrine.

Posso fermarmi a sedere in un giardino, in qualunque giardino baciato dalla luce dell’ora; posso sostare davanti alla strepitosa fioritura di un albero di una qualunque aiuola condominiale, oppure in un parco. Posso sorridere divertita al merlo audace che dalla finestra aperta si affaccia sul tavolo dove scrivo, oppure posso rimanere in attesa sulla pietra dei portici per il tempo che dura il canto degli uccelli invisibili nel cielo che si adombra al crepuscolo.

Incomincio a temere di meno questa perdita di quotidianità in un fluttuare del tempo quasi come nei sogni, che s’illumina a intermittenze di momenti di grazia in cui si avverano cose diverse e sconosciute, lontane. Più avanti o più indietro di dove mi trovo io, non ha nessuna importanza. Sono le cose di cui vado scrivendo. Che non fanno la mia vita, ma che dimorano presso di me soltanto il tempo che è necessario.

bologna. 17 aprile 2013

 

 

 

 

 

bologna. Aprile 2013.
Fare il punto nell’immenso
Madonna del Rosario, bologna. Aprile 2013

 

 

 

 

 

Pura poesia

Di notte scrivo, faccio le mie ricerche, perfeziono i miei strumenti. Leggo fino all’aurora. Sta diventando il mio “modus vivendi”. Mio —non significa che io l’abbia scelto, piuttosto mi trovo nella posizione di chi finisce con l’accettare il fatto che esista per sé. Ho smesso di lottare, faccio i miei sforzi di adattamento.

Di notte i miei occhi aperti, fissi sugli oggetti, i libri, la macchina da scrivere, la boccetta del magnesio s’intrattengono fisicamente a queste cose, disimpegnando così la mente che intanto scrive senza fare nomi, senza creare una sola parola, ma vibrando all’unisono con il senso che viene come un’iconoclastia di meraviglie, passaggi di stupore senza oggetto. Lo stesso di quando, ancora ragazza, rimanevo in piedi in silenzio per incommensurabili istanti davanti alla finestra di cucina.
Il silenzio che scende con la fine del giorno, lo spazio inoccupato che si schiude con la notte e la liberazione che permette sono elementi insostituibili di una condizione d’ascolto molto prossima a ciò che chiamiamo: il vuoto. Che poi consiste più semplicemente in uno stato in cui ciò che di noi dice —Io, può realizzare un tale arretramento fino a perdere la sua utilità di soggetto e guadagnare la coscienza dell’intersezione dei mondi, dei tempi, del senso che slitta senza fine compiendosi non una volta per tutte, ma ogni volta come se fosse per sempre.

Dopo la notte il profumo dei fiori nella stanza e il caffè. Lentamente si condensano parole, pensieri, poco a poco la fiamma notturna che era stata la via d’uscita diventa questa prudenza diurna nel nominare, l’attenzione, la cura di non avanzare mai con il mio canto oltre la soglia di una primordiale veridicità.

bologna. Marzo 2013

 

 

 

 

 


Visione notturna nel cuore di un cortile privato
otranto (LE). Natale 2012

 

 

 

 

 

Un punto certo di abbandono

Come l’andirivieni di un’altalena lanciata a vuoto nell’aria, così lo smarrimento mi assale nell’inseguire le traiettorie che fa il verso: sempre un po’ più lontano da dove mi trovo io, fluttuando altrove nel tempo da parte a parte, volgendosi mobilissimo parola per parola. Altre immagini invitando, altre figure alla venuta al mondo.

Ancora la riserva d’inerzie nel suo stato di quiete dimora presso di me; dal moto sempre pari a se stesso del silenzio – a lungo custodito – viene la parola. Ma non è più nel verso quel rintocco di tempo in cui l’immagine s’incastonava alla vita. Della parola si configura un’esigenza diversa, che possa sciogliersi dal racconto, risalire l’origine della sua letteralità, dal suo interno riattingere le più antiche esperienze che legano questa lingua alla vita. Fra la terra e il cielo, fra visibile e oscuro, i morti ancora coi vivi.
Questo per me il lavoro del poeta, ben oltre la gioia battesimale per il bacio di un’ispirazione felice.

bologna. 15 gennaio 2013

 

 

 

 

 

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Volto a sud
torre dell’Arengo, bologna. Settembre 2014

 

 

 

 

 

Solstizi e scritture

Mentre le ore di buio si allungano per la stagione, i miei giorni scivolano sempre più pericolosamente alla notte. Come se al diminuire di durata della luce, avessi scelto di spostarmi dove lo spazio rimane costante per quella stessa spoliazione del giorno. Singolare Persefone che volontaria va alla terra infera. Come se fra la mutevolezza della luce e la durata del tempo mi ritrovassi spontaneamente dalla parte di quest’ultimo. Non so più quando è cominciato, probabilmente già da molto lontano, in modi che mai avrebbero rivelato il sospetto dell’avverarsi di questa trasformazione.

bologna. 13 dicembre 2012

 

 

 

 

 


La torre dell’orologio, in linea con il decumano massimo
piazza Maggiore, bologna. Settembre 2012

 

 

 

 

 

Web-capsule

A bocca chiusa, leggo molto qua e là fra quello che altri scrivono, pubblicano, condividono. Quasi mai esco da una pagina senza aver trovato uno spunto, un motivo di riflessione, senza che uno scambio sia avvenuto.

Ho l’impressione che coltivare una rete di contatti sia un’attività preziosa, un lavoro meticoloso e insostituibile. Mi sto inoltrando in lontananze a volte anche molto distanti da me per sensibilità e prospettive di pensiero, anche oltre il mio campo immediato di comprensione. In questi casi, devo ammetterlo, la difficoltà principale è quella di vincere la tentazione di lanciare soltanto un’occhiata e abbandonare alla svelta la pagina per una nuova scheda…

Ma quando scelgo di segnare il passo, con buone dosi di pazienza e di intuito mi capita spesso di raggiungere lungo queste altre linee di fuga nuovi elementi per tornire ancora nuove forme di consapevolezza. Ecco, credo che stia cercando di annodare una rete proprio per questo.

bologna. 29 ottobre 2012

 

 

 

 

 

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In piano
basilica di San Petronio, bologna. Settembre 2014

 

 

 

 

 

Storie

Rimane sempre imperscrutabile come qualcosa arriva da scrivere. Non voglio dire un’idea oppure un’ispirazione, ma qualcos’altro già dotato di tutto quanto è necessario per significare. Più di questo, qualcosa che vive già da qualche parte nel tempo, che vive da sempre attraverso di noi, ma senza il nostro apporto consapevole. Qualcosa in cui —Io, possa sciogliersi per la durata dello scritto. Qualcuno lo chiamerebbe “il motore”, la direzione e il nucleo di una storia. Io preferisco parlare di cuore.
Quando qualcosa da scrivere arriva è anche una promessa di felicità.

Credevo di non avere storie da raccontare, di non essere tagliata per farlo, fino a ieri. Ho sempre ignorato nell’innocenza più lacerante quanto le mie storie premessero dentro di me nell’attesa di uno sguardo, di una scelta – dalla loro parte.

bologna. 25 ottobre 2012

 

 

 

 

 


Nell’alto, il centro moltiplicato
piazza san Domenico, bologna. Ottobre 2012

 

 

 

 

 

Le parole

Siedo al caffè della biblioteca, poco prima che cada la sera. Con stupore, ma pure con fiducia mi accorgo di come lo scritto incominci a prodursi solo all’oscuro di sé, quasi nella dimenticanza, incubato in una distrazione che resiste a qualsiasi assalto di buona volontà. Alle mie spalle due uomini anziani parlano fitto, la voce bassa, in dialetto bolognese. Il mio pensiero si dissolve intorno ai miei gesti che attendono con cura qualcos’altro, qualunque cosa che sia altro dallo scrivere — e intanto, non visto, il corpo del testo condensa e precipita. Ascolto la voce dei due uomini, capto il significato di alcune parole, la loro conversazione diventa una nenia nel mio orecchio. Non cedo alla tentazione di voltarmi, di scoprire le facce che hanno, d’incrociarne gli sguardi, di saldare nei loro occhi di vecchi quelli miei.
Siedono soltanto per il tempo di un caffè. Ma io li pregherei di non andare via, di continuare ad abitare per un poco di più questo nostro deserto della lingua con la loro parlata singolare, fatta di suoni caldi, abbracciati, a tratti fischiati, di un pensare che viene dai gesti più che procedere dalle parole. Per provare come si fa e cosa significa abitare una lingua, un senso davvero condiviso dell’esistere.

In quel disimpegno apparente dell’ascolto, della mente vacante, in quel segreto intervallo di concentrazione lo scritto incomincia, in rare parole, come il suono di una voce che si materializza da tutto ciò che sta intorno. Sono parole quasi sillabate, frammenti di senso che affiorano come privi di trama e d’autore: occultano profondità di paesaggi che vengono tanto più fluenti, generosi d’incanto quanto più scabra si fa quest’andatura.

bologna. 18 ottobre 2012

 

 

 

 

 


Uscita dalla biblioteca di Sala Borsa
piazza Re Enzo, bologna. Ottobre 2012

 

 

 

 

 

Scrivere

Ci sono cose per me che si assomigliano. O piuttosto, si tratta di azioni che deriverebbero da una comune necessità: leggere come scrivere, come guardare.
Da piccola ho resistito con tutte le mie forze all’imperativo di imparare a leggere —nessuno si è accorto mai di questo, io ero un’alunna modello. Ancora oggi mi domando come riuscissi a nascondere nel mio banco di scuola le mie lacrime di bambina di allora. Ho anche un vago ricordo di come girava la mia mente prima di cominciare le classi elementari, di quando distesa sul sedile posteriore dell’auto di mio padre domandavo – cosa c’è scritto? indicando le insegne luminose che si susseguivano lungo la via. E confrontavo la risposta ricevuta con quell’altra cosa che vedevo io. Dopo un poco non ci pensavo più e ritornavo a cantare.
Poi è arrivato il tempo in cui quel rifugio d’infanzia mi veniva sottratto in cambio di un alfabeto. Che per me equivaleva a dover smettere di respirare: mi ritrovavo di colpo in un mondo in cui niente significava più, dove ogni cosa aveva smesso di muoversi, di trasformare e non era più quello che conoscevo io. Quello che ancora oggi mi meraviglia è come avesse potuto, la bambina che ero, come avesse potuto intuire che quell’apprendimento sarebbe stato per sempre —io, per sempre perduta.
La maestra delle prime classi elementari si ammalò gravemente e morì. Di lei ho il ricordo di una dolcezza materna.

Presto i libri di scuola non bastarono più. Allora ho incominciato a leggere i libri dei miei cugini di poco più grandi di me, quando la domenica andavamo a casa loro in visita. Dopo ancora scoprivo che i libri si potevano scegliere nei negozi, dove ce n’erano tanti diversi. Ho incominciato allora a desiderare dei libri miei, mia madre accettava di comprarli, li sceglievo sempre illustrati —più tardi, trovavo che i libri sono tutti abitati da immagini che si guardano con gli occhi chiusi. Ma il ricordo di quello sforzo infantile all’apprendimento della lettura non mi ha mai abbandonata. Anzi, più che un ricordo si tratta per me di un segno di riconoscimento, una ferita impressa nel corpo che traccia un passaggio.

Molti anni più tardi, cambiando case e città, amici e orizzonti d’attesa avrei riabilitato il mio sguardo su questi ricordi. Li avrei condivisi, nel confronto li avrei liberati dal sospetto di una presunta malattia. E’ stato allora che ho incominciato a domandarmi se quella mia terra natale non fosse già poesia. Se fosse già scrivere, allora, se fosse leggere il mio guardare silenzioso nel movimento delle cose, quell’ascolto sempre proteso, spesso allarmato.
Poi ho dimenticato di pensarci ancora, semplicemente ho smesso di pensare a questo genere di cose. Fino a oggi.

bologna. 24 settembre 2012

 

 

 

 

 


Al posto del centro, sulle acque, un intreccio di ponti fra le sponde
comacchio (FE). Settembre 2012

 

 

 

 

 

Un riepilogo

Stasera accarezzo la sensazione di trovarmi nella pienezza del tempo della mia vita: dinanzi a me, a portata di mano, il compimento delle scelte della mia vita. Finalmente posso allentare il passo, posso abbandonare nell’andatura tutto il mio peso. Ma io stasera indugio al di quà di quella linea immaginaria; il pensiero mi mette i brividi e scava dentro una profonda inquietudine con una sponda di mestizia. Del compimento vedo il perimetro. Intorno a quello, l’immensità che ne rimane esclusa.

La scelta di scrivere a tempo pieno è stata tanto liberatoria quanto più gravosa era la mia condizione precedente, ha scatenato in me una forza immensa che ha prodotto anche un profitto immediato ed evidente. Dopo un poco, credo sia naturale tirare fuori anche le scorie accumulate in tutta una vita, e così la paura della fine, del ripiegarmi su me stessa.
Stasera ho visto la fine, ma ho saputo di poterne fare un inizio diverso. Ho fiducia che tutto quanto andrà per il verso giusto, che nemmeno per un istante perderò la rotta e quel profumo di verde e di selvatico, di dolce e fresco che ha per me il respiro dell’aperto.

bologna. 19 settembre 2012

 

 

 

 

 


Il centro e la festa
piazza del santo patrono, lecce. Agosto 2012

 

 

 

 

 

Le spalle nude

Ripenso: non mi aspettavo di potermi rialzare da quella scrivania senza nessuno sforzo— già ripiegata impercettibilmente su me stessa, mi preparavo a raccogliere le forze un attimo prima di vincere con un solo scatto di tutto il corpo la resistenza della gravità. Questa volta, però, non era stato necessario. Senza sforzo: in piedi. Lo stupore che me ne veniva durava ancora per qualche istante, si prolungava oltre il momento in una specie di sospensione del vivere —come se fosse la felicità. Ma che cosa era stato?

Senza impegni, cammino per le vie come se fosse scivolare sopra un tempo divenuto liquido. Rinunciare a un lavoro quando è chiaro che non ce n’è più, lasciare e basta, senza niente altro da fare, decidere di perdere quell’illusorietà quotidiana e con essa lo status che ne consegue, è anche un guadagno di chiarezza che in questo caso, nel mio, produce un senso di liberazione perfino fisica che fa di oggi un giorno speciale nella mia vita.

Qualcosa di diverso: non una prova di coraggio, nemmeno un gesto d’irrealtà. Piuttosto un momento – capita a volte – in cui dietro la pressione che aumenta succede che salti quella distanza di sicurezza che ci separava dalle cose. E non è mai un momento da cui si torni indietro, mai indenni, non si può fare come se non si è visto, come non fosse avvenuto.

E’ la presa di coscienza della fine del lavoro. E con la fine del lavoro anche il fallimento di quel sistema di relazioni che lo sostiene – in cui sopratutto noi stessi ci sosteniamo e ci riconosciamo, che gioca fra diritti, doveri. La bugia e l’insufficienza del diritto quando al suo interno sia stato svuotato, come ora, di quell’obbligo quale forza viva che ci lega fra esseri umani e che non si fonda sulla giurisprudenza, sulla struttura sociale, sui rapporti di forza. L’obbligo di provvedere ai bisogni umani vitali, cioè analoghi alla fame, siano essi fisici o morali ma comunque sempre terrestri. Quando il frutto e lo sforzo del lavoro si allontanano sempre di più dal corrispondere a queste necessità, allora non è più lavoro ma schiavitù. E’ soltanto il profitto, sulla nostra pelle, di quei soliti pochi.

bologna. 29 agosto 2012

 

 

 

 

 


Il sole allo zenit
piazza Duomo, lecce. Agosto 2012

 

 

 

 

 

Una sfumata diffrazione

Sembra che la calura estiva abbia ceduto per un poco la sua morsa in città: oggi, un giorno di vento fresco, leggero. Penso al tempo che è trascorso nello spazio di poco meno di un mese —un tempo che credevo finalmente “dedicato” che in realtà, alla distanza, appare soprattutto come tempo liberato. A questo punto, sembra volato via.
Avrei voluto produrre più scrittura. Ma la Montagna Incantata mi ha sollevata dalla “vita in piano” e rinchiusa con sé. Avrei voluto ora volgere lo sguardo intorno e non dover subire ancora l’urto del caos che mi circonda. Cos’è successo? Come al solito, il dissolvimento impercettibile di ogni mia idealistica aspettativa contro la quale una benedetta prosaicità del vivere – puntuale, sempre viene a collidere.

bologna. 12 luglio 2012

 

 

 

 

 


Al crocevia, il santo
lizzanello (LE). Agosto 2012

 

 

 

 

 

Luglio 2001

Davanti a Santo Stefano oppure il tempio di Iside, dove il mattino pare condensi le premesse di tutta la luce del giorno. Gerusalemme dei cieli in terra. Che poi è un altro modo di dire il cuore di ogni forma di vita illuminata.
Consumo piano la mia colazione, quasi distrattamente. Sono in cerca di nuovi luoghi per me in questa città, sperimento modi diversi  di condurre i miei passi: nuovi caffè dove sedere, nuove “stazioni” per l’esercizio dello sguardo. Fermo anche qualche fotografia.

Prima di uscire, davanti allo specchio stamattina ho avuto l’impressione di avere smesso la mia nera armatura, l’impalcatura triste —Genova 2001 è finita?

bologna. 7 luglio 2012

 

 

 

 

 

Strada provinciale Lecce - Martano. Natale 2012.
Antica porta d’accesso al centro abitato
cavallino (LE). Natale 2012

 

 

 

 

 

Ferie estive

L’incedere trasognato e costante delle Sarabande di Eric Satie va al passo con la penombra nella stanza, con il silenzio dell’ora nel cortile, con l’odore che fa il caldo — quasi le cinque della sera.
Ieri notte all’uscita dal lavoro salutavo i miei colleghi per l’ultima volta per i prossimi due mesi; loro notando nel piglio della mia voce una malcelata felicità hanno creduto che io partissi per una lunga vacanza.

Ieri notte pedalando piano per le vie antiche e respirando lenta all’aria buia e al silenzio mi sorprendevo in un accenno di brezza nell’orecchio dei versi che fa il vento.

bologna. 26 giugno 2012

 

 

 

 

 

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Musicale
piazza Santo Stefano, bologna. Settembre 2014

 

 

 

 

 

Una sponda di dolore

Una sponda di dolore mi accompagna —un nido certo di limite e confine in questa immensità. Nel gorgo denso e bruno, avvolta nel suo passo ad ogni respiro.

bologna. 25 giugno 2012

 

 

 

 

 

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Presenza
basilica di San Petronio, bologna. Giugno 2014

 

 

 

 

 

Su di me

Faticando a ogni passo nella morsa di pietra, masticando il mio legno. Consumata ogni ira, estinta ormai ogni spinta di rivolta, ogni impazienza: ho visto e ho compianto il mio destino.

Liberata per un poco dalla paura, sciolta dalla disperazione ho guadagnato un porto mite di calma. Non c’è veramente bisogno di sapere di più per tentare di me almeno una descrizione.

bologna. Giugno 2014

 

 

 

 

 

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498 gradini
Ingresso nella torre degli Asinelli, bologna. Giugno 2014