Quando si dice: scrivere.

 

bologna. Cortile in primavera.

Nonostante i brutti sogni del mattino, oggi la mente viene al risveglio già ben orientata nel suo paesaggio di senso, di parole. Fuori è una bella giornata di sole, dal caldo che fa si potrebbe dire una giornata estiva. Si sta in casa con le finestre aperte, nell’aria che aleggia in una sottile vena di brezza si respira delicata la dolcezza del profumo di fiori. Anche in un cortile di città. I versi degli uccelli si fanno più rari con l’aumentare della luce. Manca poco a mezzogiorno. Vivaci le campane delle chiese chiamano alla messa, più solenni invece rintoccano le ore.

Quando si dice che soltanto nella casa siamo veramente sole. Là dove insieme a noi tutto scrive ed è più vivo e reale di quello che quotidianamente ci sollecita e ci condiziona. Come intrecciare dialoghi di ininterrotti silenzi con qualche cosa di ineffabile che viene incontro -incantando -dal lato in ombra di tutte le voci.

“Soli, lo si è in una casa. Non fuori ma dentro di essa (…) in casa si è tanto soli da sentirsi talvolta smarriti.” *

“Tanto per cominciare, ti chiedi cos’era quel silenzio intorno a te e praticamente a ogni passo che fai in una casa a ogni ora del giorno, sotto tutte le luci, quella di fuori o quella delle lampade accese anche durante il giorno.” *

“Ci vuole sempre una separazione dagli altri intorno a chi scrive. (…) La solitudine  reale del corpo diventa quella, inviolabile, dello scritto.” *

 

*Estratti da Scrivere, di Marguerite Duras. Feltrinelli, 1994.

 

La scrittura infinita (link all’articolo di Edda Melon)

 

 

Verso la vanità e il vento – M. D.

 


Il suo viso, scritto.

Verso la vanità e il vento. 
Marguerite Duras

 

“(…) Scrivere, o è mescolare tutto in un viaggio che ha per destinazione la vanità e il vento, o non è niente; o si mescola tutto in un’unità per sua natura indefinibile, o si fa soltanto della pubblicità. Ma molto spesso non ho un’opinione, vedo che tutti gli spazi sono aperti, come se non ci fossero più pareti, come se lo scritto non sapesse più dove andare per nascondersi, per strutturarsi, per leggersi, come se la sua fondamentale sconvenienza non venisse più rispettata, e subito dopo non ci penso più.”

Scriveva così Marguerite Duras nel 1984 nelle prime pagine de “L’amant”, rivelando perché prima di quella data aveva scritto di sé e delle persone della sua famiglia dissimulando i fatti, i sentimenti, gli eventi. In un’epoca in cui non era lecito scrivere attaccando direttamente la nudità dei fatti. Questo suo pensiero di allora riecheggia ancora per me, in modi sublimi e con essenzialità stupefacente. A proposito di “spazi che sono tutti aperti come se non ci fossero più pareti”, vorrei aggiungere che avverto questa stessa sensazione tanto più forte oggi con la moltiplicazione e la facilità di accesso ai mezzi di pubblicazione dello scritto —e intendo con questo la dimensione pura e semplice del “dare a leggere”.

Scrivere non per fare chiarezza.  Scrivere come mescolare tutto in una sola essenza inqualificabile è ancora oggi un gesto, una condizione in cui nello sforzo di attingere a una libertà incondizionata si ricrea anche la propria identità, così mescolata alla marea di tutto ciò di cui non sappiamo niente. Che attrae con il suo richiamo là dove cessa il deserto, la società e incomincia lo scritto con la sua luce.

bologna. 16 settembre 2012.