Da ogni angolo delle città turche, a migliaia.

 

 

Istanbul. Irruzione della polizia al Divan Otel.

 

Le tre del mattino, sono ore vissute con il fiato sospeso. Dentro un’implorazione muta. Che si sottraggano al martirio. Ma era un solco già tracciato l’epilogo di queste ore. Difficile sottrarsi all’attrazione di dover opporre al “mostro disumano” un contegno umano fino al sacrificio di sé. Forse davvero questi uomini, queste donne non hanno paura e sfilano a migliaia spuntando da ogni altro luogo delle città turche che non sia piazza Taksim.

Questi uomini, queste donne ristabiliscono davanti agli occhi di tutti noi che la politica è un luogo fatto dalla pluralità degli uomini e delle donne, che ha la sua ragion d’essere proprio nella relazione, nel legame fra tutte le singolarità diverse che siamo noi. Una verità che ogni ordine politico per mantenersi stabile deve negare con la forza.

La rivolta turca, come ogni rivolta, ha sospeso il tempo della storia. E’ così per chi popola e attraversa quei luoghi; lo è anche per chi -pur lontano dagli avvenimenti -non distoglie il proprio sguardo e il cuore, l’attenzione. Spero per ciascuno di noi che non si tratti soltanto di un intervallo -una crisi di febbre in uno stato di buona salute. Auguro a tutti noi di essere sempre in cerca dei modi per scardinare questo rito di morte che rinserra le nostre vite nelle chiuse dinamiche del potere.

bologna. 16 giugno 2013.

 

contropiano.org (link all’articolo di aggiornamento)

rightnow.io (fotografie della notte)
 

 

Piazza Taksim e il tempo sospeso.

 

 

 

 

Cinque morti dall’inizio della rivolta popolare turca disarmata. Decine di persone che hanno perso la vista a causa dei gas, migliaia di feriti -alcuni in coma. Dio sa quanti uomini e donne sono stati arrestati e in quali condizioni sono detenuti. La disperazione delle madri di Gezi-Park; la stessa delle persone davanti agli arresti delle decine di avvocati prelevati di forza in tribunale dalla polizia. Quello che abbiamo visto.

 *

 E. C. è ricercatore nel gruppo di studi sul Mediterraneo e il Medio Oriente del CNRS. Stamattina scrive da Istanbul. Dice che ieri sera in piazza Taksim era come una grande festa. Che la città adesso sembra calma. Calma, come  se niente fosse successo.

*

bologna. Il cielo di un mattino presto, sereno. Nel blu del cielo i voli ancora alti delle rondini sembra che galleggino.  Finalmente l’estate è arrivata, l’aria calda e silenziosa adesso poserà esausta fra qualche ora.

Per tutta la notte alla mia finestra uccelli di carta frusciavano fra le tende. E ancora sono qua nel mattino, contro i vetri battono senza ali.

bologna. 15 giugno 2013.

 

Lettre d’Istanbul (link all’articolo)

 

Il sogno nuovo di una rosa.

 

A ogni inizio di giorno ritrovarmi già immersa nel passaggio che fanno le parole. Così imbandite di senso. Come le vie che portano in tutte le direzioni, come atmosfere.
Come le danze che trascorrono negli azzurri caldi, piumati dei cieli di città, in un tempo d’estate che si è perduto in quest’altra stagione che non sappiamo nominare.

bologna. 11 giugno 2013.
 

 

#occupygezi. Ciò che va in fiamme e in frantumi.

 

 

 

Dalle prime ridicole notizie sui canali tradizionali di informazione sembrava quasi che si trattasse di una protesta ecologista -salvare le centinaia di alberi del Gezi Park, contro il progetto di riqualificazione dell’area pubblica con la costruzione di un centro commerciale. Ma ormai da tempo gli organi di stampa anche in versione digitale hanno perso il ritmo e il senso di ciò che è reale. Si capiva infatti benissimo fin dalle prime fiammate che l’oggetto della rivolta civile -vi prego, non chiamiamole proteste -esplosa in Turchia riguarda piuttosto l’orizzonte della vita in questo nostro mondo, sul Bosforo come a Genova, lo stesso rifiuto non soltanto della logica della globalizzazione liberista o dell’ennesimo sistema di governo democratico dispotico e corrotto. E’ sempre un attacco puntato al cuore stesso della politica quando le donne, gli uomini si espongono con i loro corpi nello scontro con lo Stato. E’ il modo più radicale e vero, tragicamente umano in cui si riporta visibile ciò che della politica viene dimenticato e rimosso, quella sua fondazione antichissima sul doppio versante dell’ordine tremendo della violenza, della guerra: quella agita contro i nemici esterni per difendere e rileggittimare ogni volta l’ordine politico, ma soprattutto la violenza e la guerra contro i “nemici” interni, che si devono schiacciare, terrorizzare o uccidere perché l’ordine pubblico sia stabile.

bologna. 2 giugno 2013.

 

http://occupygezipics.tumblr.com

http://www.flickr.com/photos/ombrelibere/sit in di studenti turchi a Bologna

http://www.infoaut.org/istanbul la parola alla piazza

http://www.susam-sokak.fr/les arbres de taksim cachaient la foret de la revolte
 

 

Maggio in città

 

 

 

     Il calore della stagione, quella che dovrebbe essere e invece ci manca —oggi posava appena nell’aria con la sua densità familiare, con il profumo e il sollievo di un momento.

Viene distratta questa stagione, smarrita nelle corse che fa il Vento, confusa di pioggia.
     Forse, non è diverso da sempre nonostante l’idea che abbiamo di un tempo custode. Forse noi siamo sempre immersi in una specie di transito di sconosciute direzioni, e più di questo non ci è dato di sapere.

bologna. 30 maggio 2013
 

 

 

Quando si dice: scrivere.

 

bologna. Cortile in primavera.

Nonostante i brutti sogni del mattino, oggi la mente viene al risveglio già ben orientata nel suo paesaggio di senso, di parole. Fuori è una bella giornata di sole, dal caldo che fa si potrebbe dire una giornata estiva. Si sta in casa con le finestre aperte, nell’aria che aleggia in una sottile vena di brezza si respira delicata la dolcezza del profumo di fiori. Anche in un cortile di città. I versi degli uccelli si fanno più rari con l’aumentare della luce. Manca poco a mezzogiorno. Vivaci le campane delle chiese chiamano alla messa, più solenni invece rintoccano le ore.

Quando si dice che soltanto nella casa siamo veramente sole. Là dove insieme a noi tutto scrive ed è più vivo e reale di quello che quotidianamente ci sollecita e ci condiziona. Come intrecciare dialoghi di ininterrotti silenzi con qualche cosa di ineffabile che viene incontro -incantando -dal lato in ombra di tutte le voci.

“Soli, lo si è in una casa. Non fuori ma dentro di essa (…) in casa si è tanto soli da sentirsi talvolta smarriti.” *

“Tanto per cominciare, ti chiedi cos’era quel silenzio intorno a te e praticamente a ogni passo che fai in una casa a ogni ora del giorno, sotto tutte le luci, quella di fuori o quella delle lampade accese anche durante il giorno.” *

“Ci vuole sempre una separazione dagli altri intorno a chi scrive. (…) La solitudine  reale del corpo diventa quella, inviolabile, dello scritto.” *

 

*Estratti da Scrivere, di Marguerite Duras. Feltrinelli, 1994.

 

La scrittura infinita (link all’articolo di Edda Melon)

 

 

La seconda porta.

 

Nel fulgore di una luce sinistra
La carezza animale
Umida
E fredda
Celava il brivido dell’oscurità.

Chiusa la porta,
Per l’estensione immersa
Nel buio che rimane
—le mani nude
Inghiottiva
La notte cieca
Dell’ira.

* * *

Nell’azzurro della sera.
Sopra il traffico stradale
Attraversa la traccia di una grotta
In mezzo al cielo.

 

 

Finestre e davanzali.

 

Finestre e davanzali.

Giambattista lavora in officina, batte il ferro incandescente. Giambattista fa il fabbro artigiano. Ha costruito dei palchetti -di pirandelliana memoria -per le mie finestre, a protezione delle piante che coltivo sui davanzali. Cedevo così alle preoccupazioni di tutti quelli che temevano potessero cadere giù. Oggi, il primo giorno dei davanzali “legali”.

Ma c’è di più. Nello squadro delle mie finestre quei palchetti sembra che ci fossero da sempre. Discretamente modellati nella forma del ferro, scorrono lungo i muri del prospetto e sono un accento di eleganza dal decoro semplice, un’aggiunta di stile con una vena di antica sensibilità. Ha avuto un bel gusto Giambattista nel disegnare i suoi ferri “ancora umani” -come li descrive lui. Davvero un lavoro fatto ad arte.

Alle finestre lo spazio vegetale si è misteriosamente trasformato: disteso qua come un prato in fiore, là come un parco proteso a mezz’aria.
L’ancoraggio artificiale accrescendo psichicamente il principio di radicamento sembra coinvolgere fino al luogo umano abitato, consentendoci di guadagnare anche un’aerea depandance sul cielo.

 

 

Una giornata di sole.

 

Vengono giorni in cui non scrivo una riga. Giorni in cui ancora non scrivo, ma sono in cerca, organizzo, leggo, penso. Ascolto. Molte cose vengono in mente, talvolta vere e proprie “visitazioni” che riescono a illuminare i lati riposti del mio immaginario.

Sono giorni in cui mi occupo d’altro. Dell’altro che ha sempre a che fare con uno sgombero -più o meno favoloso -di spazio. Faccio spazio per i futuri abbandoni che arriveranno con i nuovi giorni da scrivere.

Oggi a Bologna è finalmente una giornata di sole.
 

 

Poetare.

 

Questi ponti di corde lanciati attraverso gli abissi. Distinzione di lingua non conta come lo sguardo del pensiero, il verso della mano.

 

 


bologna. Di pomeriggio, sopra le sette chiese.

 

 

 

Tardi.

 

Sono le sei e mezza. Nel cielo si è acceso l’azzurro. Dalla finestra chiusa all’aria fredda di fuori, si posa nella stanza il primo canto del merlo nella sera. Il primo della bella stagione.